Coronavirus e riflessioni sulla “scienza”

19 Giugno 2020 by Punto Salute
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Oggi, a distanza di qualche mese dall’inizio della pandemia, possiamo dire di avere qualche notizia in più sul SARS-CoV-2, microrganismo meglio conosciuto come Coronavirus (questo nome definisce però una “famiglia” e non un singolo virus), responsabile di 500.000 morti nel mondo, di moltissime infezioni di gravità variabile e del condizionamento della vita di qualche miliardo di persone.

In realtà le conoscenze sono ancora limitate e ci impediscono di avere una risposta certa alla domanda che più ci preme: il virus ritornerà? Non lo sappiamo, e chi oggi ci propina certezze, in un senso o nell’altro, ripete gli stessi imperdonabili errori commessi dall’inizio della diffusione della pandemia.

Gli errori non sono stati solo difetti di comunicazione, ma portano con sé responsabilità gravissime perché la gente comune ha creduto di potersi fidare dei cosiddetti “scienziati”, teorici portatori del Verbo in medicina, ma è stata ripetutamente tradita da personaggi salottieri proprio nel periodo iniziale della diffusione del virus, quando più serviva la consapevolezza di ciò che stava accadendo per limitarne gli effetti. Si sono invece ascoltate affermazioni totalmente fuorvianti, inesatte, in molti casi sconcertanti. Potrebbe far parte dello spettacolo, oggi ostentato per ogni aspetto della vita, ma giocare con la salute delle persone è irresponsabile. Come medico provo vergogna e tristezza per alcune performance alle quali abbiamo dovuto assistere.

Ovviamente si sono potuti ascoltare anche interventi ragionevoli e pacati, chiari e basati sui soli dati già disponibili e perciò effettivamente “scientifici”. Il problema, per gli incolpevoli non addetti ai lavori, è stato quello di distinguerli dal bombardamento di frasi vuote ma spesso ben confezionate oppure capirne il valore reale a fronte di dichiarazioni roboanti con terminologia esclusiva e “blasè”, tipica dei convegni medico-specialistici nei quali ci si parla addosso. Peccato che la platea di ascoltatori fosse per lo più digiuna di linguaggi ipertecnici e, per di più, piuttosto spaventata da quanto stava accadendo ed in diritto di conoscere e capire. Ma la scienza è spesso rimasta nel proprio empireo perché abbassarsi costa fatica.

Il tragico gioco delle previsioni ed i tristi litigi tra alcune presunte eminenze grigie del sapere medico ci hanno mostrato poi un lato della cosiddetta “scienza” che molti addetti ai lavori, almeno quelli dotati di maggior spirito critico, purtroppo già conoscevano.

Durante l’epidemia, a fronte della necessità, da parte delle persone, di avere dati precisi, abbiamo assistito ad una banale ritualizzazione della scienza attraverso un susseguirsi di cifre senza senso, di pareri personali non richiesti, di cervellotiche elaborazioni matematiche inadatte alla situazione e di elencazioni di dati tanto tragici quanto forniti con distacco e talora con approssimazione.

Per nostra fortuna la gestione politica della pandemia si è rivelata, da parte del governo, sufficientemente buona nonostante la discussione abbia spesso imboccato i sentieri della mediocrità ai quali siamo, purtroppo, da tempo abituati. L’isolamento, pur trascinando con sé conseguenze economicamente e psicologicamente pesanti, ha dato, alla fine, dei buoni frutti riuscendo a contenere una diffusione del virus che avrebbe potuto essere ben più drammatica, come ci ha mostrato l’andamento dell’epidemia in Lombardia e nei Paesi che non hanno attuato il lockdown.

Abbiamo però avuto ancora la prova che una scienza neutra ed obiettiva non esiste e, con molta probabilità, non è mai esistita. La ricerca, nel nostro Paese, non è mai stata considerata un’attività interessante, un’area nella quale investire per il bene della collettività. Ne consegue che l’unico motore che la alimenta è l’investimento che su di essa possono fare le multinazionali del farmaco e che il solo fine è quindi generare profitti giganteschi il cui riflesso positivo sulla salute delle persone non è sempre scontato.

La ricerca del vaccino per il SARS-CoV-2 ne è la prova. Intendiamoci, non voglio dire che sia inutile cercare un vaccino efficace contro questa subdola infezione virale, ma proporlo come unica fonte di salvezza nel momento in cui ancora non sono note le caratteristiche dell’immunità che la malattia, detta Covid-19, conferisce alle persone risulta piuttosto azzardato. E distoglie dalla mancata soluzione di molti altri problemi.

Ho particolarmente apprezzato i pochi esperti che, in questo periodo, hanno pubblicamente detto che “non conosciamo ancora a sufficienza il virus per fare affermazioni definitive”. Bene, si riparta allora da questo semplice assunto per capire cosa è meglio fare ora e quali sono i servizi da incentivare nel caso, malaugurato, che questa o altre similari pandemie possano entrare ancora nelle nostre vite.

Benché non sia stata ancora scritta la pagina definitiva sull’origine del virus, sappiamo con certezza che alcuni nostri comportamenti hanno condizionato e continuano a condizionare pesantemente la possibilità di insorgenza di gravi pandemie. Mi riferisco al fenomeno del cosiddetto “spillover”, cioè alla possibilità che, in condizioni di disequilibrio, possa avvenire un salto di specie da parte di alcuni ceppi virali che, da ospiti normali di un organismo vivente, possono diventare pericolosi ed aggressivi in un altro organismo come quello umano. Una cosa analoga era già capitata con il virus dell’HIV, con la SARS, con la MERS ma evidentemente non era abbastanza.

Abbiamo conosciuto in questi mesi lo scrittore-ricercatore che, con un suo libro del 2012, intitolato appunto “Spillover”, aveva raccolto le dettagliate considerazioni di alcuni gruppi di scienziati e ci aveva messo sull’avviso di come si sarebbe verosimilmente manifestata la prossima pandemia, prevedendo esattamente ciò che si è puntualmente verificato con il SARS-CoV-2. Si tratta di David Quammen, non certo l’unico a prevedere le tristi conseguenze del modo di vivere dissennato che la parte di umanità più ricca oggi pratica, con l’arroganza di chi si ritiene padrone del mondo intero e quindi in diritto di decidere comportamenti che ricadono negativamente su milioni di esseri viventi, umani e non umani.

Oggi gli effetti di questi comportamenti sono, per chi non rinuncia ad avere occhi, orecchie e pensieri, tristemente evidenti. “Siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”, dice Quammen.

Una “scienza” spinta dall’etica e non dal profitto, cioè l’unica a potersi definire tale, dovrebbe allora riflettere prima di tutto su questi comportamenti: distruzione degli ecosistemi naturali, sfruttamento incontrollato della terra e delle acque, allevamenti intensivi di animali per l’alimentazione umana, densità abitativa oltre ogni logica. Le soluzioni esistono, non sono certo di facile applicazione ma sono ormai imprescindibili se vogliamo evitare l’autodistruzione. Mi permetto di citare la più banale, dal punto di vista della difficoltà di attuazione: ridurre drasticamente, o meglio ancora eliminare, il consumo di carne.

Qualcuno potrà domandarsi qual è il nesso tra il Coronavirus ed il consumo di carne. E’ presto detto: gli allevamenti intensivi sono la più grande fonte di inquinamento per il pianeta, più ancora del traffico automobilistico ed aereo, e comportano una serie di altre attività collegate, come la coltivazione dei cereali per l’alimentazione del bestiame ed il consumo di enormi quantitativi di acqua necessaria per gli allevamenti stessi. Potremmo poi aggiungere a questo la sciagurata abitudine, propria dei popoli orientali e dei cinesi in particolare, di consumare specie animali selvatiche. Sono queste condizioni di stress ambientale estremo, unitamente alle altre situazioni sopra descritte, a favorire il salto di specie dei virus e la loro aggressività in un ospite nuovo come l’uomo.

Proporre uno stile di vita vegetariano, tra le varie cose da fare, evidentemente non è ritenuto abbastanza “scientifico”, nonostante un numero ormai altissimo di pubblicazioni sull’argomento, e non genera grossi guadagni, anzi limita molti diffusi interessi. Meglio concentrarsi su farmaci e vaccini.

Un altro aspetto che la “scienza” pare considerare in modo marginale è l’esame della tipologia delle vittime principali di queste pandemie, cioè le persone più deboli e indifese. Questo significa parlare delle popolazioni più povere e sfruttate, se vediamo le cose a livello globale, oppure degli anziani, dei disabili e delle persone con basso reddito se persistiamo nel fermarci a considerare solo la parte del mondo più ricca e benestante. Viene considerato un aspetto inevitabile di questa storia. Anzi, sapere che il virus colpisce prevalentemente le persone anziane, già portatrici di altre patologie (ma chi non ha, con l’invasività della diagnostica attuale, almeno una patologia dopo i 40 – 50 anni?), risulta paradossalmente perfino rassicurante per i fruitori benestanti dell’informazione di massa.

Il numero dei pazienti anziani deceduti in condizioni di solitudine nelle strutture residenziali o nelle proprie abitazioni, nel nostro Paese, insieme all’abbandono subito dalle persone in difficoltà fisica e psichica sono gli aspetti che trovo più sconvolgenti di questa epidemia. Non è forse compito della “scienza” occuparsi di questo? Non è compito del Servizio Sanitario, in una nazione giustamente orgogliosa di avere un sistema di cure teoricamente universale, garantire la salute prima di tutto a chi è in condizioni di maggiore bisogno?

L’impressione è quella che siano stati fatti errori grossolani, molti dei quali provengono dalla scriteriata politica sanitaria degli ultimi 30 anni, e che l’Italia abbia inoltre pagato, ancora una volta, il prezzo di un degrado etico, istituzionale (e di conseguenza organizzativo) che non pare avere fine, con la totale scomparsa di criteri meritocratici nell’assegnazione dei ruoli decisionali anche tecnici, “scientifici” appunto.

Lontano da noi, invece, è stata particolarmente triste, tra le molte immagini che abbiamo purtroppo dovuto vedere, quella delle fosse comuni ad Hart Island (New York), nel cuore della nazione che si propone come guida del mondo e baluardo della democrazia, e a Manaus, in Amazzonia, in una delle nazioni emergenti del nuovo capitalismo. E, sempre a proposito di USA e Brasile ma non solo, gli articoli di molti giornali hanno riportato ancora una volta la verità più brutale ed insieme costante nel nostro mondo, e cioè come a pagare il prezzo più alto siano sempre le persone povere,emarginate, con storie di vite troncate nel modo più triste, assurdo, inaccettabile e non certo per sola colpa del virus.

Ma tutto questo sembra non essere di competenza della “scienza” e degli “scienziati”.

Dr. Ermanno Motta, specialista in Igiene e Medicina preventiva
Direttore sanitario del Poliambulatorio Punto Salute

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